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Siamo sicuri che il rialzo dei tassi sia la soluzione (stavolta)?
Il 2022 ha visto il ritorno di una vecchia conoscenza degli italiani, ignota ai più giovani: l’inflazione a doppia cifra.
Ho 38 anni e ed è la prima volta che vivo in prima persona un costo della vita che aumenta da un anno all’altro di oltre il 10%. L’avevo studiata ed il tema, indirettamente, era entrato nella mia tesi di laurea che si intitolava “La <<scala mobile>> e il dibattito sindacale dei primi anni Settanta”.
Un istituto, quello della scala mobile, nato per preservare il potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti in un periodo di inflazione elevata, automatizzando l’adeguamento al costo della vita dei salari tra un rinnovo e l’altro.
Ebbene, quello che avevo studiato sui libri d’economia, che fino a qualche mese fa sembrava retaggio di un mondo ormai definitivamente scomparso, è riemerso in maniera repentina e, per me, ampiamente prevista.
Due parole sul contesto odierno.
Da quando abbiamo la Moneta Unica raramente l’inflazione ha superato il 2%. Ed uno degli obiettivi principali della BCE è proprio quello di avere un’inflazione di medio termine al 2%.
Nel particolare, se andiamo a vedere quello che è successo in Italia dopo l’introduzione dell’Euro, dal 2013 ad oggi siamo sempre stati ampiamente al di sotto di questa soglia. Conseguenza soprattutto della prolungata fase di stagnazione della nostra economia.
Quella che viviamo oggi è una situazione nuova, determinata dalla pandemia da Covid 19 che ha interessato il mondo intero e delle politiche monetarie adottate dalle banche centrali per affrontarla. Politiche monetarie fortemente espansive.
Ne ho scritto già in un precedente articolo, che trovate nel link a seguire
https://www.linkedin.com/pulse/linflazione-difficile-da-gestire-ma-non-impossibile-diego-broglia/
Arrivare ad avere un’inflazione così elevata e prolungata era, a mio avviso, ampiamente prevedibile. E nella gestione dei portafogli dei miei clienti ho agito di conseguenza.
Addirittura “ampiamente prevedibile”, si chiederà qualcuno?
Sì, e non perché io abbia a disposizione una sfera di cristallo. E nemmeno un qualche libro con tutti i dati economici e finanziari proveniente dal futuro, tipo il grande almanacco sportivo che riporta dal lontano (allora) 2015 Marty McFly in Ritorno al futuro II.
Mi limito a ragionare sull’Europa. In un breve lasso di tempo gli stati europei hanno generato uno stock di debito pubblico “nuovo” elevatissimo, per sostenere famiglie ed imprese costrette a sospendere (chi temporaneamente e chi, purtroppo a tempo indeterminato) l’attività lavorativa.
Un aumento esponenziale del debito assorbito, in buona parte, dalla BCE. D’altronde era difficile che gli investitori privati, ad eccezione degli istituzionali, avrebbero acquistato in massa titoli di debito spesso a tasso negativo; un tasso che tra l’altro non rappresentava il reale livello di rischio dell’emittente (pensate ad esempio ai titoli nostrani).
Ma tutto questo debito, come verrà ripagato? È la domanda principale che mi sono posto nel 2020.
E la risposta che mi sono dato a quanto pare era quella giusta: svalutando questo debito con l’inflazione elevata.
Il motivo è semplice. Rimaniamo all’esempio europeo. Se io ho emesso del debito e, anche se solo in parte (la BCE è rappresentata dai vari paesi aderenti) posso decidere se lasciar correre l’inflazione (e quindi svalutare il mio debito in termini reali) posso realizzare una specie di “gioco delle tre carte”, dove lascio il cerino in mano ai cittadini, europei in questo caso. E tra loro ci sarà chi ne uscirà peggio e chi meglio.
Non che ci sia necessariamente da vedere del male in questo approccio, che potrebbe essere il più sano ed indolore rispetto agli altri possibili. In fondo lo Stato (l’Unione Europea per allargare gli orizzonti) siamo comunque noi.
Per collegarci alla cronaca di questi giorni, la critica, anche tonica, fatta da alcuni membri del governo italiano a fine anno scorso dopo il rialzo dello 0,50% dei tassi da parte del presidente della BCE Christine Lagarde riguarda proprio questo.
Quanto è vantaggioso, per un paese con lo stock di debito pubblico che abbiamo noi (elevatissimo se rapportato al nostro PIL), avere una svalutazione di oltre il 10% all’anno di questa montagna di debito che si aggira a circa 2.700 miliardi di Euro…?
Sarà stato questo che ha spinto il lato “falco” della Lagarde ad un aumento deciso (anche se poteva essere maggiore) dei tassi ed a dichiarare che il comportamento del prossimo futuro della BCE sarà quello di continuare ad aumentare i tassi nel 2023 per tenere a bada l’inflazione?
A mio avviso in buona parte sì. Sicuramente molti paesi, meno cicale di noi sotto l’aspetto della spesa pubblica, vedono con irritazione il vantaggio che determina un’inflazione elevata su alcuni indicatori economici italiani.
D’altronde noi italiani già ai tempi della Lira utilizzavamo la leva dell’inflazione per trarne un vantaggio: svalutando costantemente la nostra moneta rispetto alle altre, soprattutto rispetto al Marco tedesco, riuscivamo a generare un vantaggio competitivo per le nostre esportazioni all’estero.
Ok il passato, ma lo scenario attuale e futuro?
In Europa abbiamo avuto la sospensione del patto di stabilità, di particolare rilevanza soprattutto per i paesi come il nostro, che fino a qualche anno fa faceva parte dei PIIGS (ricordate, quando a noi e qualche altro paese ci davano dei “maiali”…?).
Il patto di stabilità è stato sospeso nel 2020, con lo scoppio proprio della pandemia globale e rientrerà in vigore nel 2024.
Ora come viene affrontata nel mondo questa situazione nuova?
Per combattere l’inflazione l’arma “da manuale” è il rialzo dei tassi di interesse: rendo più caro per le famiglie e le aziende finanziarsi > queste spenderanno meno > i prezzi si raffredderanno.
Corretto, se quello che è successo negli ultimi due anni fosse già successo nella stessa maniera prima. Lo avremmo trovato scritto sul manuale di cui sopra…
Ma non è così. Soprattutto non è così a mio avviso per l’Europa oggi.
Fino a qualche mese fa avevamo livelli di inflazione molto simili tra Europa e USA.
Negli USA abbiamo avuto un’inflazione che a gennaio era al 7,5%, ha toccato il suo picco oltre il 9% a giugno per poi scendere costantemente nei mesi successivi fino ad arrivare al 7,1%.
Ma noi non siamo gli Stati Uniti.
L’inflazione negli USA ha cause endogene: i consumi sono cresciuti fortemente dopo la fine delle chiusure legate alla pandemia da Covid19, il tasso di disoccupazione, storicamente bassa negli USA, è vicina ai minimi degli ultimi 10 anni. Le persone, dopo mesi e mesi di restrizioni, spendono ed i prezzi sono aumentati. Prova ne è che con il rialzo dei tassi da parte della FED la crescita dei prezzi al consumo sta rallentando.
Si inserisce la guerra, che ha fatto da grancassa a questa situazione. Noi europei siamo importatori netti di energia. Inoltre non siamo stati negli anni passati così lesti ad accelerare nella transizione ecologica che per noi non è solo di importanza strategica per perseguire finalità legate alla tutela dell’ambiente, ma anche per una questione economica.
In questo l’Italia stavolta non è il fanalino di coda. Ma magari ne scriverò in un successivo articolo.
Pensare di raffreddare l’aumento dei prezzi al consumo con strumenti classici, senza andare a vedere nel merito della situazione, rischia di far deragliare le autorità europee, di portarle fuori strada. E se una locomotiva che rallenta esce anche fuori dai binari, i competitor ne possono approfittare alla grande.
E’ bene che in questo contesto l’Europa sia saggia, coraggiosa e soprattutto unita.
Altrimenti il rischio è che si faccia la fine del marito che, per fare dispetto alla moglie, si taglia gli attributi.
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