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Un ristorante stellato ai prezzi di un fast food?

 

Nel mondo del risparmio si può

Qualche giorno fa sono uscito dal mio ufficio dell’Eur a Roma per raggiungere un cliente all’ora di pranzo.

 

Sarà che da tanto non passavo nel quartiere a quell’ora ma ho notato una cosa: fuori a buona parte dei ristoranti dell’isolato c’erano persone in fila ad attendere il loro turno. Persone che aspettavano sotto la pioggia, con l’ansia di rientrare a lavoro per timbrare il cartellino, di poter mangiare un boccone.

 

Facile immaginare che, visto il tipo di servizio di quei ristoranti orientati alla rapidità e all’essere smart, gli avventori difficilmente possono trovare lì pizza lievitata naturalmente, carne bio di pollo allevato a terra o crudi di mare di prima qualità, serviti in ampi spazi e con servizi di chissà quale pregio. Comprensibile.

 

Non è la stessa cosa che andare in un ristorante stellato.

 

Lì non si dovrà attendere per entrare, l’ambiente sarà sicuramente accogliente e non si mangerà in piedi come avviene in rosticceria. Verranno serviti piatti fatti con materie prime di qualità, magari ricercati o esotici. Un cameriere si occuperà di noi, ci dirà cosa lo chef (o si affaccerà lui stesso dalla cucina a chiederlo) potrà cucinare per noi tra una vasta varietà di piatti. Ci chiederà se abbiamo allergie e ci suggerirà che vino abbinare alle pietanze.

 

Unica nota dolente: un conto salato.

 

Vedendo questa scena mi è venuto naturale fare un paragone tra il settore della ristorazione ed il mondo bancario. Ed ho pensato che se dovessi spiegare ad una di quelle persone in fila che lavoro faccio lo potrei spiegare così: lo chef del risparmio e della gestione patrimoniale.

 

Gli direi che i miei clienti non aspettano in fila sotto la pioggia un servizio non dico scadente, ma necessariamente standardizzato, come avviene nelle banche di sportello. Come avviene nei fast food o nelle tavole calde, anche in bei quartieri di importanti città.

 

Un consulente finanziario solitamente ha un ristretto numero di clienti, a cui offre una consulenza personalizzata. Il suo (il mio) contratto è di libero professionista, quindi nessun accredito scontato il 27 del mese, perciò si è obbligati ad essere seri, onesti e performanti, pena la vita breve della nostra professione.

 

La consulenza viene svolta sull’intero patrimonio del cliente e non ha “confini”: patrimonio immobiliare, pianificazione successoria, gestione del risparmio ecc. Si analizzano e si trovano le giuste (per il cliente) soluzioni alle esigenze che il cliente ha o avrà in futuro; e per fare questo le banche di rete solitamente stipulano contratti con i migliori fornitori di prodotti.

 

Inoltre come stavo facendo quel giorno, essendo iscritto all’Albo dei Consulenti Finanziari abilitati all’offerta fuori sede, posso raggiungere a casa o sul posto di lavoro, ed in qualsiasi orario, il mio cliente.

 

Torniamo alla ristorazione.

 

Non preferireste avere uno chef a disposizione 7 giorni su 7, 24 ore su 24 (magari di notte qualche ora fatelo dormire…), che conosce alla perfezione i vostri gusti, orari, intolleranze alimentari, eventuali diete e che ha come obiettivo la vostra soddisfazione, e che quindi rimaniate clienti? Uno chef che magari se siete stanchi, avete poco tempo, non vi va di uscire, invece che aspettarvi al suo ristorante viene a cucinare a casa vostra…?

 

Immagino l’ovvia risposta e l’altrettanto ovvia obiezione: quanto mi costa un servizio del genere?

 

Un focus su cosa cambia alla base del rapporto tra banca tradizionale / cliente ed il triangolo consulente finanziario / banca di rete / cliente

 

Le banche di rete (in Italia potete far riferimento ad Assoreti e navigare nel loro sito) hanno una struttura che parte dal cliente. Il cliente ha il suo consulente finanziario libero professionista (in alcuni casi anche un team di 2-3 consulenti che lavorano in “tandem”) ed un back office di dipendenti della banca in numero sufficiente a smaltire in tempi brevi il lavoro amministrativo dei consulenti.

 

E nelle banche tradizionali?

 

Si parte, inevitabilmente, dai dipendenti. Negli ultimi 10-15 anni, il cambiamento delle abitudini ed esigenze degli utenti e l’avvento della digitalizzazione ha portato ad una drastica riduzione del numero di sportelli bancari (3.000 comuni italiani oggi ne sono sprovvisti) ed un eccesso di forza lavoro che si ha difficoltà a gestire.

 

Basti pensare che negli ultimi anni più di un istituto bancario ha applicato scivoli al pensionamento dei suoi dipendenti di addirittura 7 anni, dico S E T T E. Un dato pazzesco! MPS ad esempio nel piano industriale 2022-2026 prevede 3.500 uscite, con relativi <<oneri per incentivo all’esodo per circa 0,8 mld di euro>>; e dirottare tutte quelle somme per mandare a riposo le persone, in una fase così delicata per MPS che a breve dovrebbe sostenere un nuovo aumento di capitale di 2,5 mld, rende l’idea di quanto l’eccesso di dipendenti sia un problema.

 

E cosa devono fare quei dipendenti in servizio nelle filiali nel poco tempo a disposizione per il cliente? Facile, vendere.

 

E per riuscire a fare questo bisogna mettere a disposizione del cliente un tempo massimo, entro cui l’impiegato dovrà vendere prodotti standardizzati, che avranno una buona (per la banca) dose di costi.

 

Esattamente come nei fast food.

 

Diventa quindi difficile ragionare sul cliente in termini di consulenza patrimoniale. Non è ciò che solitamente viene chiesto all’impiegato, che invece deve fare una certa quantità di contatti al giorno, che statisticamente portano ad una certa % di contratti, che a loro volta generano una certa quantità di commissioni.

 

Commissioni che in primis devono coprire i costi fissi delle filiali, che come dicevo sopra si riducono fortemente anno dopo anno, e dei dipendenti, che si è disposti ad accompagnare al pensionamento per 7 anni pur di non averli “sul groppone”.

 

Inoltre questa eccedenza di forza lavoro spesso è anche mal distribuita.

 

Infatti chi lavora “al fronte”, in filiale, sono una parte dei dipendenti. Ce ne sono molti altri che lavorano nel back office. E per alcuni di loro negli anni, anche per giustificare contratti “importanti”, sono state create figure lavorative di dubbia utilità.

 

Ricordo cosa succedeva nella mia precedente vita da dipendente bancario quando provavo a chiedere qualche agevolazione o sconto commissionale per i miei clienti (spesso avendo risposte negative); inviavo delle mail formali, lunghe righe e righe, che mi facevano perdere un sacco di tempo. E quando tornavano indietro mi “divertivo” a contare il numero esagerato di colleghi che si erano espressi su quella mia richiesta. Colleghi che facevano parte di altisonanti uffici denominati in inglese, ma che di fatto nel migliore dei casi erano uffici privi di senso e inutili.

 

Ovviamente quando parlo di divertimento sono ironico. Ricordo la rabbia che provavo in certe circostanze, nel gestire scelte che non condividevo fatte da persone che non avevano mai avuto davanti un cliente, o che non avevano idea di quanto esprimeva in termini di conto economico il mio lavoro.

 

Alcuni dei miei clienti, all’inizio del nostro rapporto mi hanno chiesto: com’è possibile che un servizio elevato come quello che offri, da chef di prestigio in un ristorante stellato mi viene da dire oggi, con tanti strumenti a disposizione, i migliori partner disponibili sul mercato, mi faccia anche risparmiare una valanga di costi?

 

Non c’è trucco, non c’è inganno. La risposta è in quello che ho descritto sopra.

 

Una volta quando ero ancora impiegato di banca, un cliente, giustamente, mi disse: << Diego perdonami, lo stesso fondo che qui “eccezionalmente” me lo fate pagare il 3,5% nella banca X (era una banca di rete) in cui ho depositi è senza commissioni. Lo stesso identico! Cosa faresti al posto mio?>>

 

La mia risposta a questo ed altri quesiti che mi ponevo da tempo è stata proprio approdare, dopo qualche mese da quella domanda, in una banca di rete…

 

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