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L’allegria che fa male a tutti noi (non solo alle banche)

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere su internet un volantino del principale sindacato autonomo dei

 

bancari. Il titolo dell’articolo che lo accompagnava era: “Pressioni sui lavoratori per raggiungere budget”.

 

Ci sono in questo titolo due parole, pressioni e budget, presenti nella maggior parte dei volantini sindacali che arrivavano al mio indirizzo e-mail dal mio sindacato quando, fino a qualche mese fa, ero ancora dipendente di una banca retail.

 

Nulla di nuovo quindi!

 

Ma il fatto che non sia sorpreso non vuol dire che le reputi cose di poco conto. Anzi. Queste storture sono state il principale motivo per cui ho deciso di rinunciare al posto fisso e passare alla professione di consulente finanziario.

 

La cosa che mi ha lasciato esterrefatto riguarda l’ambito del settore bancario in cui venivano (o vengono…?) portate avanti queste pressioni: il credito.

 

L’istituto in questione è una realtà medio-piccola radicata nel sud, che ha attraversato momenti di seria difficoltà pare non solo per l’acquisizione di altri istituti effettuate nel corso degli anni, ma soprattutto per una gestione “allegra” del credito.

 

Per superare la fase di difficoltà l’istituto è stato assorbito dal Mediocredito Centrale, che ha come socio unico Invitalia S.p.A, che a sua volta ha come socio unico il MEF. Quindi, alla fine, la sopracitata “allegria” l’abbiamo finanziata, o meglio pagata, tutti noi…

 

Quello che descrive il sindacato è che sembra ci siano figure in questo istituto che in maniera diretta o indiretta, con monitoraggi effettuati più volte al giorno, richieste di un rapido smaltimento delle pratiche, abbiano fatto indebite pressioni sulla filiera a discapito della corretta gestione della concessione del credito per… raggiungere un budget.

 

Mi immagino delle scene. Ras d’ufficio, magari con contratti importanti che per essere giustificati hanno portato alla creazione di uffici completamente inutili. Uffici inutili, se non dannosi, adibiti a controllare come un Grande fratello e metaforicamente frustare l’impiegato trattato come un “criceto dentro la ruota” affinché produca di più (non meglio), annullando la sua professionalità, per giustificare rendite di posizione dei ras già citati.

 

Una volta ascoltai una barzelletta che recitava più o meno così:

 

Durante la Seconda Guerra Mondiale un pilota aereo degli Alleati riceve l’ordine di bombardare gli avamposti italiani che stanno scavando una trincea proprio a poca distanza da dove le forze alleate stanno realizzando la loro.

 

Il pilota si alza in volo e si dirige verso il punto indicato sulla mappa. Ma quando arriva vede che i due eserciti sono estremamente vicini, e non riesce a distinguere le divise.

 

Lo fa presente al Comando via radio e gli viene risposto: <<Non si preoccupi, c’è un metodo infallibile per individuarli: se ogni dieci soldati non più di due scavano e gli altri sono lì a guardare e suggerire come fare il lavoro quello è senz’altro un avamposto italiano>>.

 

Una barzelletta che, da italiano, mi infastidì un po' quando la ascoltai, ma che mi viene fatalmente sempre in mente quando sento o leggo di pressioni commerciali.

 

Mi sono sempre occupato prevalentemente di gestione del risparmio, ma non in maniera esclusiva. Soprattutto nella mia precedente esperienza di dipendente, in qualità di sostituto del titolare, mi capitava di deliberare e stipulare mutui.

 

Ricordo quando, un paio di anni fa, mi capitò di stipulare un mutuo. I tassi erano schiacciatissimi e per un mutuo a tasso fisso stipulai un contratto allo 0,95% con durata 30 anni.

 

Subito pensai che un mutuo come quello, qualora un giorno fosse arrivato ad essere classificato a “perdita” se il debitore non fosse stato più in grado di ripagarlo, si sarebbe “mangiato” i ricavi generati da altri 100 mutui stipulati alle stesse condizioni.

 

Nel credito quando mi capitava una pratica che non mi convinceva pienamente, mi chiedevo sempre: fossero i miei i soldi da prestare, questa pratica la delibererei? Un ragionamento che si può scontrare con l’esigenza di portare a casa un budget.

 

Dovessi decidere io darei senz’altro molto meno peso al guadagno a breve che può dare un impiego (1-2% all’anno..?) che alla perdita che può generare se il credito non viene rimborsato (fino a -100% del capitale finanziato). I discorsi relativi ai budget li metterei in secondo piano.

 

Anche perché abbiamo svariati esempi, in Italia e nel mondo, di istituti finiti in difficoltà o in dissesto per i crediti deteriorati generati “dall’allegria” di cui sopra. Quanto accaduto all’istituto oggetto del volantino non è infatti l’unico caso in cui ha pagato pantalone, cioè noi.

 

A questo aggiungo una considerazione relativa al forte aumento dei tassi che stiamo attraversando da qualche mese.

 

Chi ha un mutuo a tasso variabile si sta accorgendo quanto l’aumento dei tassi possa avere effetti “importanti” sul ménage familiare. I tassi Euribor ad 1 mese, 3 mesi e 6 mesi, che sono quelli utilizzati solitamente per “costruire” i tassi variabili dei finanziamenti, sono passati rispettivamente dal -0,54%, -0,52% e -0,513% del novembre 2020 all’+1,376%, +1,737% e +2,168% di questo mese. Rialzi che arrivano a superare anche i 2 punti in soli due anni, il che può generare aumenti delle rate di mutuo di centinaia di euro al mese.

 

Non penso che il budget sia un male assoluto a prescindere. Il problema è quando è il budget a guidare ad ogni costo l’azione di un’azienda, poiché rischia di generare seri danni. Sia all’azienda stessa che ai suoi stessi clienti.

 

Si possono creare avvitamenti che non permettono all’istituto in difficoltà di risollevarsi, ma che lo portano semmai ad affossarlo definitivamente. E questo in passato ha portato ad azionisti ed obbligazionisti azzerati e ricapitalizzazioni fatte anche con i soldi pubblici, quindi nostri.

Preferirei, da contribuente, meno “allegria” e più serietà (e serenità…)

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