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Banche Tradizionali e Banche di Consulenti Finanziari sono la stessa cosa?
La mia esperienza diretta
Negli ultimi anni sempre più velocemente il mondo delle banche sta cambiando, e radicalmente: consolidamento di piccoli istituti in realtà più grandi, scomparsa di numerose filiali fisiche, una digitalizzazione dei servizi che pian piano sta prendendo piede anche tra i non più giovanissimi ed uno spostamento dell’attenzione dalla banca reale (raccolta e impieghi) ai servizi, in particolare quelli assicurativi. Quante banche infatti scrivono sulle loro vetrate “bancassicurazione”…?
In questo vortice di novità e di rapida evoluzione del contesto, io in prima persona ho deciso di prendere il toro per le corna ed essere artefice del mio percorso lavorativo, scegliendo di voler offrire un tipo di servizio diverso ai miei clienti, noti o potenziali, rispetto a quello che potevo dare da semplice impiegato.
Innanzitutto una chiara distinzione tra le banche tradizionali (come Unicredit, MPS, Banco BPM) e le banche di consulenti finanziari (come Fideuram, Allianz, Fineco): si tratta sempre di banche, sì, ma cambia il “mandato” che lega l’operatore e l’azienda. Nelle banche tradizionali infatti il cliente è “della banca” e quest’ultima fornisce un servizio standardizzato, una costante rotazione degli impiegati, che così non fidelizzano con il cliente, e si punta sull’immagine dell’istituto stesso e non di chi lo rappresenta “sul campo”.
E nelle banche Reti? Qui il primo fondamentale tassello è che non ci sono dipendenti, se non in minima parte e che si occupano di ruoli di back office (amministrativi ecc.), bensì dei consulenti finanziari, ovvero liberi professionisti che si sono iscritti al relativo Albo, dopo aver sostenuto un esame di abilitazione. Qui il rapporto che si sviluppa è tra cliente e consulente, dove la banca mette le sue piattaforme, gli strumenti e le condizioni.
Conta davvero così tanto questa distinzione, si chiederanno alcuni? La mia risposta, per quello che è la mia esperienza di dipendente prima e di libero professionista poi, è: sì, decisamente sì.
E il motivo è molto semplice: qualsiasi lavoro voi facciate (a patto che voi siate onesti con voi stessi e con gli altri) lo fate nell’interesse di chi vi paga lo stipendio. E chi paga lo stipendio al dipendente bancario…? Nella mia testa la risposta è sempre stata “il cliente, ovvio!”. Quello però che era ovvio per me non lo era per chi il 27 di ogni mese faceva partire il bonifico a mio favore. Quello che, a mio avviso sbagliando, pensano gli istituti tradizionali è che il cliente sia una loro proprietà, e che questo giustifichi alla bisogna anche operazioni di dubbia utilità (a volte di quasi certa remissione); basti ricordare la questione dei diamanti venduti tramite gli sportelli di alcuni istituti bancari tradizionali.
Il mondo dei Consulenti Finanziari è esente da qualsiasi lato negativo? No, assolutamente! Prova ne è il fatto che ogni tanto capiti che qualche consulente finanziario, donne e uomini con vizi e virtù al pari di qualsiasi altro essere umano, venga messo alla porta dall’istituto per cui collabora. Certo è che nessun Consulente Finanziario con un minimo di sale in zucca rischierebbe di mettere a repentaglio le sue entrate andando contro l’interesse del cliente. Se un impiegato bancario facesse scappare metà dei suoi clienti non gli verrebbe decurtato della metà il suo stipendio; al consulente finanziario invece accadrebbe proprio questo…
Per me che sono “dall’altra lato della scrivania” rispetto ai clienti queste differenze hanno un peso ed un impatto enorme sul mio lavoro e sulla qualità del servizio che posso offrire. Invece per i clienti…? Hanno la percezione di questa differenza?
Qui si apre un mondo che ha più a che fare con la psicologia che con la finanza. Capita, quando analizzo portafogli che i clienti hanno su altri istituti, che alla mia domanda sul perché sono stati inseriti alcuni strumenti di dubbio valore aggiunto, mi viene risposto “eh lo so, l’impiegato, che è un amico, me lo aveva anche detto che era una cosa che doveva farmi comprare per forza”. E spesso si tratta di strumenti con alti costi di sottoscrizione, al 5-6%. La cosa che mi lascia stupito nel sentire queste giustificazioni è che magari le stesse persone, quando hanno cominciato a far pagare i sacchetti per la frutta e verdura al supermercato 2 centesimi l’uno, hanno pensato di scendere in piazza a protestare. E dubito che se il loro macellaio di fiducia gli dicesse in faccia “le fettine ed il petto di pollo sono buoni, ma il macinato è un po' andato” oppure “il totale sarebbe € 18,00 ma arrotondiamo a € 20,00 perché oggi sono entrati pochi clienti e devo compensare” accetterebbero con un sorriso e risponderebbero con un “vabbè” allo sgarbo.
Quando qualche settimana fa ad un cliente titolare di una polizza Unit di 100mila euro a durata prefissata di 8 anni, protezione del 90% del capitale, gli ho detto di immaginare che quel 6,12% di caricamento che aveva sostenuto per fare una cosa per stessa ammissione dell’impiegato “non eccelsa”, corrispondevano ad € 6.120, ha guardato per qualche secondo nel vuoto. Penso che abbia immaginato che quel giorno, oltre ad aver firmato il contratto, abbia messo sul tavolo dell’impiegato “amico” 122 banconote da € 50 ed una da € 20, per acquistare uno strumento che probabilmente a scadenza, tra circa un anno, gli ridarà 90mila euro contro i 100mila investiti.
Per riallacciarmi alla differenza nel mandato che lega i dipendenti bancari ai consulenti finanziari: un consulente finanziario, magari anche non onesto ma interessato a non mettere a rischio il mantenimento del cliente (dunque le sue entrate), difficilmente avrebbe fatto un’operazione del genere; se quello è il suo modus operandi di sicuro è un consulente finanziario con vita breve. L’impiegato, a cui tra l’altro non viene chiesta chissà quale preparazione tecnica sui mercati e strumenti finanziari, spesso ha più premura di comunicare al suo responsabile, che gli farà chissà quante telefonate al giorno, di aver “piazzato” la cifra X di polizza Unit al 6,12% di costo di caricamento.
Ricordo quando nel 2010 al corso di neo assunti dell’istituto dove ho lavorato fino a qualche mese fa uno dei formatori ci disse, bonariamente, che la banca non cercava dei geni ma persone medie. Quelle parole, che a me ed ai nuovi colleghi sapevano dell’assurdo, col tempo, comprendendo (senza mai condividerle) le dinamiche che caratterizzano le banche tradizionali, hanno trovato una spiegazione estremamente chiara.
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